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Pastorale d'insieme

«Ricchezza» e «novità da scoprire»: la voce delle sette Zone

Tra le richieste emerse, maggiore informazione e coinvolgimento sin dalle fase iniziali. Non fermarsi agli aspetti organizzativi, approfondire formazione e spiritualità

10 Ottobre 2009

Ma il territorio che ne pensa delle Comunità pastorali? La sessione del Consilio pastorale diocesano è stata l’occasione anche per un’analisi della situazione nelle 7 Zone.
Nella Zona 1 di Milano le Comunità pastorali non sono molte. Per esempio, nel decanato Gallaratese «il progetto funziona molto bene. Questa nuova prospettiva pastorale non è stata una pioggia fredda: da anni i consigli e il clero presentavano questa possibilità come probabile. Dopo una fase iniziale non molto chiara, i sacerdoti hanno lanciato questa proposta come occasione di rinnovamento strutturale mediante l’abbattimento di steccati interparrocchiali ormai angusti e di superamento di differenziazioni pastorali a volte contraddittorie. La risposta dei fedeli è stata molto costruttiva».
Tuttavia in altre non mancano problemi dove «emerge perplessità nel clero e qualche decisa contrarietà». Nella Zona II di Varese è stato spiegato il metodo e lo stile della proposta, «perché prima si riesce a entrare nelle misure del progetto, prima ci si prepara alla sua realizzazione e le resistenze, per quanto presenti, non ne ostacolino il cammino. Le persone accolgono questa nuova esperienza anche in modo commovente, ecclesialmente consapevoli dei valori in gioco, in primis la missionarietà, con consapevolezza anche della difficoltà dei passi da compiere, di nuove dinamiche di relazione tra le persone, di pastorale non più fatta in proprio».
Nella Zona 3 di Lecco, «l’impressione generale è che il processo rimanga confinato agli addetti ai lavori, non ci sia quel coinvolgimento più diretto della comunità, dei fedeli, rischiando così di far prevalere l’aspetto organizzativo e tecnico, a scapito di quello spirituale, formativo e contenutistico».
Anche nella Zona 4 di Rho, «un limite di rilievo, emerso da più parti, è stato la limitatezza della sfera legata alla spiritualità e alla formazione, che hanno ceduto il passo agli aspetti maggiormente tecnico-organizzativi. Questo accade perché la Comunità pastorale non viene accolta anche come possibilità di crescita per i laici, anzi è intesa come un impoverimento». «È stato sottolineato, inoltre, che dove è già avvenuta la visita pastorale decanale dell’Arcivescovo si registra una maggiore disponibilità ad accogliere l’esperienza e si comprende meglio quale figura di Chiesa vogliamo oggi».
Nella Zona 5 di Monza la Comunità pastorale «non è un concetto di facile comprensione per la gente che si sente “privata” della tradizione ordinaria della parrocchia. L’Arcivescovo ha una grande libertà spirituale che si connota con il coraggio che forse, al principio e ancora adesso, non ha contagiato tutti i sacerdoti e tutti i laici, un coraggio che non viene capito. Noi lo ringraziamo per la scelta delle comunità pastorali».
Nella Zona 6 di Melegnano, «l’attenzione a definire bene gli ambiti in cui operare a livello di Comunità pastorale e di parrocchia diventa fondamentale, come dall’altra parte è importante che non venga mai meno il rapporto con il territorio».
Nella Zona 7 di Sesto S. Giovanni «il bilancio delle esperienze possiamo definirlo moderatamente soddisfacente. Vogliamo evidenziare che nelle comunità pastorali si è sviluppato un alto senso di comunione fra i preti, che fa bene alla Chiesa».