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Giovedì santo

Scola: «L’Ultima Cena è il portico
della consegna pasquale del Signore»

L’Arcivescovo ha presieduto la Santa Messa in “Coena Domini” preceduta dal rito della lavanda dei piedi

di Simona BRAMBILLA

5 Aprile 2012

Erano  bambini della parrocchia milanese di S. Vincenzo in Prato i dodici giovani a cui il Cardinale Angelo Scola ha lavato i piedi questa sera in Duomo per ricordare il gesto compiuto da Cristo prima dell’Ultima Cena. Un’azione simbolica, rivolta ai bambini che proprio quest’anno riceveranno la Prima Comunione, che come da tradizione si svolge prima della messa che apre il Triduo pasquale. Il rito della lavanda dei piedi esprime infatti l’obbedienza al mandato del servizio fraterno e la richiesta di "purificare i cuori" dalla colpa prima di accedere ai giorni più santi dell’anno. Dopo questo gesto altamente significativo l’Arcivescovo Scola ha presieduto il rito della luce: sono stati accesi dei lumi sull’altare affinché nel cuore dei cristiani vinca la luce della grazia sulle tenebre del peccato.

La celebrazione della “Coena Domini” è iniziata poi con una lettura tratta dal profeta Giona, colui, che rimasto sepolto nel mare per tre giorni e tre notti e poi restituito al suo mistero profetico, è figura di Gesù, risorto il terzo giorno dal sepolcro. Il Cardinale Angelo Scola ha esordito nella sua omelia facendo ampiamente riferimento alla figura di Giona. «Giona per placare il mare non è stato sacrificato da altri agli dei, ma ha reso su di sé la colpa e la responsabilità del disastro incombente riconoscendo che era dovuto alla sua disobbedienza. Giona non subisce la pena di morte, ma la sceglie come conseguenza dei suoi atti. Espiando per salvare gli altri, si redime. Lo sconvolgente dono di Gesù, il vero Giona, consiste nel fatto che Egli, l’Innocente purissimo, acquista a caro prezzo i nostri peccati e li espia giustificandoci, cioè liberandoci dalla colpa. Assunzione delle proprie responsabilità ed espiazione: due criteri che rischiano di sparire dal tessuto della nostra umana convivenza». L’Arcivescovo ha proseguito il suo discorso spiegando ai fedeli quale profondo significato ha la memoria dell’Ultima Cena per tutti i cristiani. «L’Ultima Cena è il portico della consegna pasquale del Signore. Rivela come la morte cruenta sulla croce, prima di essere vissuta, è già presa e fatta sacramento nella Sua volontà di redenzione totale, di amore. Ciò che dà valore salvifico alla morte di Cristo, infatti, non è l’atto cruento in sé, ma la consegna che Egli ha fatto di sé in quella morte. Ne è segno la lavanda dei piedi che imprime per sempre alla vocazione e alla missione cristiana il sigillo dell’essere presi a servizio, che è ben più di servire». Con l’Ultima Cena Cristo ha già messo in atto il suo amore salvifico che avrà compimento con la sua morte e la sua resurrezione, malgrado l’abbandono dei discepoli nel momento cruciale del sacrificio di Gesù. Il Cardinale Angelo Scola di conseguenza ha sottolineato che i fedeli di tutti i tempi hanno la possibilità, riconoscendosi peccatori, di costruire relazioni comunitarie autentiche. «Senza questo pentimento frutto del perdono, l’umana convivenza inesorabilmente si infragilisce e si decompone, si riduce, come ha detto uno scrittore contemporaneo, a ragnatele di rapporti intricati che cercano una forma». Infine l’Arcivescovo ha commentato le parole che Cristo pronuncia nel momento culmine della santa messa: Ogni volta infatti che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché Egli venga. Fate questo in memoria di me. «Queste parole che rappresentano il cuore della cena del Signore – ha concluso il Cardinal Scola -, non sono una semplice proclamazione, ma costituiscono la possibilità di essere introdotti nell’evento salvifico che viene celebrato. Da qui viene ad ogni cristiano una grande responsabilità. Dice il Signore: Fate questo, non “prendete pretesto” da questo per fare secondo criteri vostri».