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Vidas

“Social in house”, un progetto-pilota
contro il silenzio di inferni domestici

I risultati di due anni di un’importante sperimentazione sostenuta da Fondazione Cariplo, Comune di Milano e Fondazione Berti, a favore di malati terminali che vivono in zone emarginate della città

27 Novembre 2013

Il progetto pilota “Social in House” si rivolge alla pericolosa compresenza di più persone portatrici di devianze e disagi, o in condizioni di totale povertà, accanto al malato terminale. Rappresenta l’ultima tappa raggiunta da Vidas dopo 31 anni di difficile percorso nell’assistenza completa e gratuita a 28 mila pazienti sofferenti di cancro e altre patologie.

«Per far fronte a scenari sempre più complessi – sottolinea la fondatrice di Vidas Giovanna Cavazzoni – abbiamo creato un articolato servizio, affiancando e di fatto raddoppiando le consuete équipe sanitarie con mini équipe sociali altamente specializzate (assistenti sociali, psicologi e volontari esperti) . Un fortissimo impegno, condiviso e sostenuto da Fondazione Cariplo, Comune di Milano e Fondazione Berti».

504 i casi seguiti in due anni con 15.120 giornate di assistenza gratuita, offerta da 30 operatori sempre a rotazione sul campo, con disponibilità 24 ore su 24 per 365 giorni l’anno. Una capacità assistenziale pari al 15% sul totale di 1600 malati che Vidas assiste annualmente. Un’intensa attività di “bonifica sociale” del tutto inedita in Italia che, partendo dal rispetto e dalla cura della persona malata, si estende al suo nucleo familiare e abitativo, sovente in condizioni di inimmaginabile degrado. “Inferni blindati” è la definizione che meglio accomuna le tante storie di degrado umano e sociale incontrate.

Un’espressione corretta, ma dall’accento burocratico, definisce queste tragedie “casi limite”, spesso resi più acuti da violenze fisiche e psichiche che travolgono senza distinzione adulti e minori. Una disgregazione del tessuto sociale che cancella ogni traccia di decoro e dignità umana e che sempre più colpisce nuclei familiari sino a pochi anni fa al riparo da questo dissesto. Le chiamano nuove povertà e sono tragedie che esplodono entro mura rese ancor più fragili dall’incapacità di reggere miserie fino ad allora impensabili. Perciò il progetto “Social in House”, in una società in continua frammentazione, deve purtroppo continuare a vivere. L’affidabilità dimostrata sul campo è l’ancora a cui legare il futuro di tante sfortunate famiglie.

Per affrontare situazioni così complesse si è reso necessario un lavoro collegiale, caratterizzato da un costante scambio di informazioni con cellulari, palmari e altri strumenti, utili soprattutto laddove il rischio comporta la necessità di soluzioni urgenti. Interventi che sono talvolta persino d’ordine pratico, come la sistemazione immediata di impianti elettrici, idraulici e sanitari, o di sgombero e pulizia da accumulo compulsivo di materiali accatastati da tempo che hanno reso invivibili le stanze entro le quali già si patiscono enormi sofferenze.

In un contesto così descritto è fondamentale la reciproca informazione con i referenti delle strutture che operano sul territorio, dai servizi sociali del Comune, ai servizi psichiatrici (Cps), dai servizi per le tossico dipendenze (Sert), alle Asl sino al Tribunale dei minori. Non è naturalmente mancato, se necessario, il ricovero nell’hospice Casa Vidas, prezioso per brevi periodi di sollievo anche alla famiglia e per meglio preparare l’assistenza domiciliare. Anche dopo la morte dei pazienti assistiti, le équipe del “Social in House” proseguono il servizio, soprattutto con la preziosa opera di psicologi e di assistenti sociali che orientano i familiari verso un riordino del loro percorso, il più equilibrato possibile e li aiutano nella rielaborazione del lutto.

“Inferni blindati” sono state definite le situazioni scoperte entro le mura appena descritte che si sono talvolta trasformate in oasi di serena normalità, di recupero di speranze e di affetti. Le gravi fragilità umane incontrate sono montagne scalate con la continuità dell’assistenza, la comunicazione, la collaborazione, la condivisione. Sapendo con la ragione che i miracoli non  sono possibili, ma con il cuore che si deve fare tutto il possibile e oltre e qualcosa di buono accade, sempre.

Le storie

Che altro è se non un viaggio in un microcosmo dantesco la storia di Giulia? A soli 8 anni è avvolta in un incubo che si fatica solo a concepire. Il padre risulta ignoto, la madre ha problemi di droga. Maltrattamenti e prostituzione caratterizzano la famiglia d’origine. La nonna, che subisce violenze quotidiane dal marito, gestisce un bar che è in realtà luogo d’incontri promiscui tra clienti, la stessa nonna e le due zie della bimba. Giulia viene temporaneamente affidata a una coppia di parenti che  purtroppo sono in conflitto con la famiglia d’origine, questo scatena in Giulia gravi problemi di comportamento, con frequenti crisi nervose. Nel 2012 le viene diagnosticato un tumore e trascorre in casa la fase terminale assistita da Vidas che affianca psicologicamente anche i parenti.
Carmela, siciliana vive alla periferia di Milano, al Gratosoglio, in un alloggio popolare con figlia, genero e quattro nipoti. Nonostante la diagnosi di tumore, per diversi mesi non s’è sottoposta a cure per seguire un nipote malato che è poi morto a 3 anni. L’unica fonte di reddito è il magro stipendio del genero.
E come definire la storia di Bruno? E’ malato terminale e vive con la moglie affetta da più patologie e due figli, uno disoccupato e l’altro alcolista, in un alloggio popolare alla periferia di Milano di 60 metri quadrati, senza acqua calda. Bruno e la moglie vivono con la minima, pagano 350 euro al mese d’affitto e hanno sulle spalle anche i due figli.