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Sotto il Manto di Maria
Un’icona “ambrosiana” per il Giubileo

Durante l’Anno Santo al Museo Diocesano a Milano è esposta una preziosa opera di Antonio da Fabriano, di proprietà dell'Istituto Toniolo. Si tratta di uno stendardo del XV secolo, che raffigura la Vergine che protegge il popolo di Dio

di Luca FRIGERIO

15 Gennaio 2016

Con gesto lieve la Vergine apre le braccia, offrendo protezione sotto il suo mantello, concedendo ricovero al popolo di Dio. Lei, che è Madre, accoglie i figli di questo mondo, timorosi ed incerti, deboli e insicuri in questo cammino terreno irto di insidie e di ostacoli. Così che le sue mani sembrano benedire tutti dall’alto, accarezzare ognuno con tenerezza di mamma, stringendoci a sé, a quel suo ventre benedetto che ha accolto il Verbo che si è fatto carne. E ora anche noi, uomini e donne infine riscattati dal peccato, redenti dalla morte.

“Madonna della Misericordia” è il nome popolare dato a queste immagini, una delle iconografie mariane più diffuse e amate nel mondo cattolico, fra medioevo ed età moderna. E che oggi davvero rivive, nel suo significato più sacro e profondo, in quest’Anno santo straordinario voluto da papa Francesco.

Fino al prossimo novembre, così, il Museo Diocesano di Milano presenta al pubblico una preziosa “Madonna della Misericordia” del XV secolo, attribuita ad Antonio da Fabriano, generosamente concessa dall’Istituto Toniolo di Studi superiori, ente fondatore dell’Università Cattolica, che ne ha la proprietà. Una splendida opera che si pone dunque come “icona” per il Giubileo della misericordia nella diocesi ambrosiana.

Si tratta di un olio e tempera su tavola che rientra nella tipologia degli “stendardi” processionali, dipinti su entrambi i lati, diffusi nel Quattrocento soprattutto nell’Italia centrale e commissionati in particolare dalle confraternite di laici.

Sulla parte anteriore è raffigurata Maria che apre il suo manto, appunto, a raccogliere una folla di fedeli, gli uomini alla sua destra, le donne alla sua sinistra, tutti devotamente inginocchiati, le mani giunte in preghiera.

Fra la componente maschile sono chiaramente riconoscibili, dai loro abiti (e soprattutto dai loro copricapi), il papa, un cardinale e un vescovo, oltre a un agiato “borghese” e a due personaggi vestiti di bianco e incappucciati, appartenenti probabilmente alla confraternita dei disciplini o dei flagellanti. Nel gruppo femminile, invece, si individuano una monaca e donne di età diverse, con i capelli intrecciati o coperti da un velo.

La Madonna, come di consueto in queste rappresentazioni, appare di dimensione notevolmente maggiore rispetto ai fedeli. Il suo aspetto è quello di una sovrana – ella, infatti, è la “regina dei cieli” – e la corona che porta sul capo è ripetuta a ricami dorati sulla sua ricca veste damascata. Mentre il suo mantello è ricoperto all’interno di una morbida pelliccia, probabilmente di bianco ermellino, a ricordare anche simbolicamente le doti di integrità e di purezza della Vergine.

Dietro a Maria si stagliano due personaggi: san Sebastiano, trafitto dalle frecce, e un santo vescovo, non precisamente identificabile in assenza di specifici attributi iconografici. Entrambi volgono il loro sguardo verso il volto della Madre di Dio, in estatica contemplazione.

La parte posteriore della tavola, invece, appare piuttosto rovinata. Integra è la figura di san Bernardino da Siena, a destra, che regge un libro su cui si legge la frase in latino: «Padre, ho manifestato il tuo nome agli uomini». Sono le parole pronunciate da Gesù sulla croce (riportate in Giovanni 17, 6), ma che qui sono fatte proprie dal santo francescano a testimonianza della sua missione di predicatore.

Al centro, inoltre, pur frammentaria si intuisce la figura di san Giovanni Battista, che regge il cartiglio con la scritta: «Ecce Agnus Dei». Pressoché scomparsa, infine, è la figura a sinistra, di cui rimane traccia soltanto del saio francescano: potrebbe trattarsi, quindi, dello stesso Poverello d’Assisi come di un altro santo dell’ordine da lui fondato…

La paternità dell’opera, come si diceva, è stata assegnata ad Agostino di ser Giovanni, detto Antonio da Fabriano, certamente in attività – soprattutto come pittore, ma anche come scultore – fra il 1450 e la fine del secolo. Una personalità, come osservava Federico Zeri, «di notevole levatura e assai problematica».

I suoi dipinti, infatti, raffinati ed eleganti, rivelano una cultura e una composizione decisamente diverse, rispetto ai lavori dei contemporanei pittori marchigiani, al punto che per Antonio si è ipotizzata una formazione nell’ambiente napoletano, all’epoca permeato di cultura fiamminga. Un gusto “nordico” che il nostro artista avrebbe appreso anche nel corso di un giovanile soggiorno a Genova. Il tutto, poi, rielaborato alla luce delle solenni invenzioni di Piero della Francesca, che l’artista fabrianese avrebbe studiato di persona, o attraverso la mediazione di pittori come Gerolamo di Giovanni da Camerino.

Una tavola di commovente bellezza, insomma, questa oggi esposta al Museo Diocesano. Espressione di una lunga tradizione che ha voluto celebrare l’amore misericordioso di Maria verso i suoi figli terreni con un’immagine immediatamente comprensibile a tutti, nel gesto premuroso di una madre che accoglie e protegge dagli strali e dai pericoli della vita. Ma che è anche richiamo biblico a quel gesto di elezione – avvolgere col proprio mantello – che il Signore fa nei confronti del popolo di Israele, nella visione allegorica di Ezechiele, e che Elia attua verso Eliseo, chiamandolo alla missione profetica.

Così che, come ha affermato lo stesso papa Francesco annunciando il Giubileo della misericordia, «in questo tempo di persecuzione e di turbolenza spirituale, il posto più sicuro è proprio sotto il manto della Madonna».

 

 

L’opera è esposta
al Museo Diocesano a Milano
(corso di Porta Ticinese, 95)
fino al prossimo 20 novembre.
Per informazioni

www.museodiocesano.it