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La pubblicazione

Testimonianza, via per il dialogo

Nel gennaio 2005 il patriarca Scola lanciò la nuova rivista “Oasis” come occasione di incontro, conoscenza, dibattito tra tradizioni e religioni, proponendo il meticciato come «mescolanza di culture e fatti spirituali che si producono quando civiltà diverse entrano in contatto»

Angelo SCOLA

19 Settembre 2011

Pubblichiamo ampi stralci dell’editoriale con cui il cardinale Angelo Scola presentò la nuova rivista Oasissul primo numero pubblicato nel gennaio 2005

 Anni fa in un incontro con alcuni Vescovi cattolici di Paesi islamici fu rilevata la necessità di disporre di adeguati strumenti culturali per alimentare i cristiani di quelle terre. Scritti di pensatori come Guardini o De Lubac, come Guitton o Lewis non sono per lo più disponibili in arabo e l’accesso alla loro lettura resta difficile. Ci sono certo sempre la lingua inglese e quella francese, spesso utilizzate da quanti hanno un curriculum medio di studi, difficilmente però queste lingue occidentali facilitano il processo di necessaria inculturazione della fede. E la lingua non è mero strumento di comprensione, ma insostituibile medium di paragone e fattore indispensabile di personalizzazione e di comunione senza il quale è difficile dare sostanza alla fede e, soprattutto, dare corpo a una Chiesa.

Il 6 maggio 2001 il Santo Padre Giovanni Paolo II, in occasione dell’incontro con la comunità musulmana nel cortile della Grande Moschea Omayyade a Damasco, affermò: «Sia i musulmani sia i cristiani hanno cari i loro luoghi di preghiera, come oasi in cui incontrano il Dio Misericordioso lungo il cammino per la vita eterna, e i loro fratelli e le loro sorelle nel vincolo della religione». L’immagine dell’Oasi come luogo di riposo, di sosta e di pace che consente l’incontro con Dio e con i fratelli ci venne offerta come una precisa indicazione di lavoro.

Da questa doppia circostanza è nata, pian piano, l’idea di creare questo strumento: la rivista Oasis. L’intento originario, quello di venire incontro alla sete culturale dei cristiani nei Paesi a maggioranza musulmana, si è andato ulteriormente precisando. Un primo allargamento di obiettivi è stato di carattere per così dire quantitativo-geografico. Si è pensato di fare ricorso anche alla lingua urdu soprattutto per il Pakistan. Senza rinunciare in futuro anche ad altre lingue (ad esempio l’indonesiano), è parsa questa una soluzione che consente una prima realistica mediazione tra una prospettiva ideale di diffusione e le possibilità attuali. (…)

Abbiamo scoperto che Oasis deve tendere a favorire uno scambio teologico-culturale organico tra cristiani (senza escludere membri di altre religioni) delle aree europee anglofone, francofone, italiane, medio-orientali, nord-africane, arabe e urdu.

Oasis, come soggetto e strumento espressivo, può in qualche modo favorire la nascita di un soggetto comunionale i cui protagonisti siano cristiani dell’Occidente, del Medio ed Estremo Oriente e dell’Africa. Questo ci condurrà anzitutto ad ascoltarci, conoscerci e capirci. Avrà come importante conseguenza quella di aiutarci ad affrontare il fenomeno “musulmano” e più in generale quello delle grandi religioni. Nello stesso tempo, tale strumento potrà educare i battezzati che vivono in Paesi tradizionalmente cristiani a incontrare i musulmani e gli uomini delle altre religioni che, ormai numerosi, vivono in Europa e nelle Americhe.

L’obiettivo che Oasis si pone è quindi certamente ambizioso e complesso. Se non vogliamo cedere alla tentazione intellettualistica di pensare che sia sufficiente fornire chiavi di interpretazione, la rivista non può che essere l’espressione di un soggetto comunitario deciso ad intraprendere una strada di lavoro comune. (…)

In sintesi, Oasis vuole costituire l’espressione culturale di una rete di rapporti nati dalla communio catholica che sappia assumere i compiti e le responsabilità posti oggi ai fedeli cristiani dall’orizzonte sempre più pressante del rapporto Est-Ovest. La sua identità cattolica riconosce l’ecumenismo, la teologia delle religioni, il dialogo interreligioso e l’apertura a tutte le culture quali dimensioni irrinunciabili ed intrinseche alla sua propria natura. (…)

Siamo convinti che il primo e inderogabile compito sia cercare di conoscere e di capire. È infatti sempre più evidente la complessità del frangente storico ed ecclesiale in cui ci troviamo a vivere. Esso non si può più definire esaurientemente con la semplice categoria del confronto tra etnie, culture e religioni. Occorre individuare insieme altre dimensioni per comprendere l’istanza che sta sotto l’urgenza di questa inedita mescolanza tra popoli cui l’Autore della storia sembra voler chiamare l’umanità. Se ci è permessa un’ardita metafora, parleremmo dell’inevitabile imporsi di una sorta di “meticciato di civiltà” per far sì che l’incontro non si trasformi inevitabilmente in scontro. Meticciato in senso figurato come mescolanza di culture e fatti spirituali che si producono quando civiltà diverse entrano in contatto. Del resto abbiamo in comune l’umana natura su cui poggia la famiglia dei popoli.

Personalmente riteniamo che categorie come “reciprocità”, “tolleranza” e “integrazione” marcatamente occidentali si stiano rivelando insufficienti. Non tanto per i valori cui rimandano, quanto per quello che non riescono a pensare e a comunicare. Se considerate con attenzione, si rivelano come categorie in cui si può annidare, soprattutto in Occidente, la tentazione di risparmiare alla libertà dei singoli e all’organizzazione dei popoli l’urgenza di esporsi in prima persona. Tali categorie potrebbero forse essere utili per segnare i limiti della umana sopravvivenza, ma non per pensare i fondamenti di questa nuova compenetrazione planetaria che avrà bisogno di un nuovo ordine e governo mondiale. Sia pur in un diverso contesto l’acuto Lewis affermava: «L’eguaglianza protegge la vita, non la nutre. È una medicina, non è il cibo». Parlare di “tolleranza”, di “reciprocità” e di “integrazione”, infatti, non può bastare. Una categoria che ci sembra necessario introdurre è, invece, quella della “testimonianza”. Essa mette immediatamente in gioco ogni uomo ed ogni donna, chiamandoli a esporsi, a pagare di persona, a non decidere in anticipo fino a dove si può arrivare nell’incontro e nel dialogo.

Ma si deve saperla tradurre in termini e forme realistiche di natura culturale, sociale e politica in vista della “vita buona” dei popoli e per il bene della Chiesa. Obiettivi da perseguire senza fughe utopistiche ed intellettualistiche.